Diritto di famiglia.

La famiglia di fatto

Abbiamo accennato in precedenza all’evoluzione dei costumi sociali ed alla necessità che l’ordinamento si adegui a questo sviluppo. La famiglia legittima non rappresenta più l’unico modello attuabile. Accanto alla forma più nota, infatti, son venuti emergendo modelli che con il tempo hanno raggiunto una rilevanza prima insospettabile.

Il modello della famiglia di fatto, da intendersi come l’unione tra soggetti di sesso diverso ove è assente il vincolo matrimoniale, è sostanzialmente fondato sull’affectio e sullo spontaneo rispetto dei doveri familiari. La giurisprudenza, attenta alle nuove esigenze sociali, ha specificato che, per distinguere il concetto di rapporto occasionale da quello di famiglia di fatto, si deve necessariamente tener conto del carattere di stabilità del rapporto. Proprio la stabilità del rapporto è l’elemento che permette di riconoscere l’elemento della certezza alla relazione venuta in essere, rendendo così quella tipologia di rapporto rilevante sotto il profilo giuridico (Cass. Sent. n. 3503/98). Per quanto si sia cercato di intervenire al fine di colmare le lacune presenti in questo settore, ormai ampiamente e diffusamente sviluppato, non v’è chi non veda come manchi una compiuta ed espressa regolamentazione del fenomeno. Pur esistendo una sporadica produzione normativa, si rinvengono delle disposizioni spesso prive di coordinamento che attribuiscono isolati effetti giuridici alla convivenza more uxorio. Non è dato quindi individuare una struttura normativa organica e ben definita. Per quanto l’ordinamento italiano continui a privilegiare la famiglia legittima – soprattutto in considerazione delle forti e radicate tradizioni etico-religiose – , sia le giurisprudenza che la dottrina inducono a ritenere che si renda sempre più necessaria ed opportuna una approfondita regolamentazione, che possa risultare globale ed organica, del fenomeno. Allo stato, viene riconosciuta rilevanza giuridica alle situazioni che abbiano ad oggetto i figli generati dai conviventi. In tal senso si stabilisce che non devono trovarsi in una situazione deteriore rispetto ai figli legittimi. Con riferimento poi al rapporto tra i conviventi, non sembra possibile una applicazione, in via analogica, delle disposizioni normative presenti per la regolamentazione della famiglia legittima. Ad ogni modo, ciò non esclude che i conviventi possano, grazie anche all’autonomia privata riconosciuta, autoregolamentare i propri rapporti facendo ricorso ad altre disposizioni. Pur facendo leva sulle opportunità offerte dal legislatore, esistono ambiti per i quali sono presenti limiti, come ad esempio in tema di successioni, dove la possibilità di indicare delle convenzioni non è ammessa. In tal caso, infatti, il convivente, non potendo essere considerato alla stregua di un coniuge, non avrà titolo alla successione legittima, potendo contare solo ed esclusivamente sulla successione testamentaria. Possiamo riconoscere che in giurisprudenza si sta realizzando un progressivo passaggio dalla esclusività del vincolo formale del matrimonio, come fondamento della famiglia, al riconoscimento del rilievo giuridico della stabilità dei sentimenti e degli interessi che legano i membri della famiglia stessa, ma non possiamo ancora affermare che la strada intrapresa sia quella della piena equiparazione tra i due modelli, quello della famiglia legittima e quello della famiglia di fatto. In tal senso la Corte di Cassazione è stata piuttosto chiara: perché si possa discutere di famiglia di fatto, sarà necessario dimostrare “l’esistenza e la durata di una comunanza di vita e di affetti, con vicendevole assistenza materiale e morale, non essendo sufficiente a tal fine la prova di una relazione amorosa, per quanto possa essere caratterizzata da serietà di impegno e regolarità di frequentazione nel tempo, perché soltanto la prova della assimilabilità della convivenza di fatto a quella stabilita dal legislatore per i coniugi può legittimare la richiesta di analoga tutela giuridica di fronte a terzi”.

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